Le tribù del Kerala in guerra contro la bibita americana

Più acqua meno Coca

di Raimondo Bultrini  [ da "L'Espresso" del 06.03.2003 ]

Da 300 giorni la Coca-Cola indiana è sotto l'attacco di due tribù dei primitivi del Kerala che sono giunte ad odiare la bibita che è ormai il simbolo della globalizzazione. Ma la guerra delle popolazioni indigene tribali, chiamate adivasi, non ha tanto a che fare con il gusto dolciastro della bevanda, quanto con il disastro ambientale creato dalla fabbrica impiantata nel villaggio di Plachimada, a cinque chilometri dal confine col Tamil Nadu. Gli adivasi rivogliono indietro la loro acqua pulita e le terre che i processi chimici dell'imbottigliamento hanno deteriorato.

La guerra alla multinazionale, che in India prende il nome di The Hindustan Coca-Cola Beverages Pvt. Ltd, dura dal 22 aprile del 2002, quando tutte le tribù dei distretti intorno a Plachimada scesero sul piede di guerra, circondando lo stabilimento, appoggiate dai contadini dalit, i fuoricasta più poveri del paese, e da diverse organizzazioni non governative. Aperto nel 1998, impiega stabilmente meno di un centinaio di lavoratori e saltuariamente altri 200. Ma è diventato presto la causa principale dei loro guai. Per produrre bottigliette e barattoli, la Hindustan Coca-Cola preleva infatti tra i 600mila ed il milione e mezzo di litri al giorno dai corsi d'acqua e dai bacini idrici utilizzati da tempo immemorabile da tempo immemorabile dai Malasar e dagli Eravalat. Per ogni bottiglia riempita, la fabbrica ne succhia tre, togliendo a tribali e dalit considerevoli quote della loro riserva, utilizzata per orti ed uso quotidiano. Al danno si aggiunge la beffa quando lo stabilimento restituisce parte di quest'acqua durante il processo di risciacquo dei contenitori, contaminando il terreno e le stesse fonti d'acqua dell'area.

Gli adivasi del Kerala cominciarono a rendersi conto dei danni causati dalla fabbrica quando videro la loro acqua cambiare colore fino a diventare simile a quello del latte cagliato. Anche l'odore era diventato stomachevole fino al punto che un migliaio di abitanti dei villaggi più vicini allo stabilimento non giunsero al paradosso di dover comprare l'acqua imbottigliata dalla stessa Coca-Cola e rivenduta a cinque rupie a causa dell'eccesso di sali, calcio e magnesio, contenuti in quella delle fonti. Decisi a chiedere provvedimenti urgenti per salvarsi da un destino di dipendenza dalla multinazionale e dal progressivo avvelenamento delle falde, dovettero ben presto rendersi conto che la ragione da sola non sarebbe mai bastata. Inoltre, tutte le autorità del luogo avevano dato il benvenuto all'industria americana quando aveva deciso di installare uno stabilimento in quella regione dell'India. Dunque, sarebbe stato difficile avere nuovi alleati in quella battaglia. Tanto è vero che, dopo parecchie settimane di picchetti organizzati da un gruppo chiamato Forum di Resistenza Sociale, intervenne lapolizia per disperdere i manifestanti e più di 150 persone, comprese donne e bambini, finirono alla stazione di polizia di Chittoor.

Dal 22 aprile 2002, un picchetto simbolico è sempre rimasto a testimoniare la volontà dei primitivi e dei fuoircasta di non darla vinta ai «globalizzatori», come i manifestanti chiamano i responsabili del disastro. Nei prossimi giorni il comitato di lotta organizzato dal Forum di Resistenza Popolare è determinato a tentare un vero e proprio assalto allo stabilimento, ma l'impresa non sarà affatto semplice. La Coca-Cola dispone di tutte le autorizzazioni di legge e ogni violazione (a parte quelle ai regolamenti sanitari) potrebbe essere punita severamente.