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C'era una volta Google

Oggi ho portato mio figlio al museo.

Ho chiesto a Raffaella, che è sempre gentilissima con noi, di farci strada fino all'ingresso principale. L'abbiamo salutata, e siamo entrati nel grande salone, mano nella mano. Siamo andati nel padiglione storico e gli ho mostrato com'era il Mare.

Cerco di spiegargli che una volta il Mare era molto diverso da oggi, quando improvvisamente si guarda attorno e mi chiede: «Papà, ma dov'è la Barca?». Sorridendo, punto un dito davanti a noi e gli indico un piccolo rettangolo. «Quella era la Barca? E come ci si entrava?». Vedo che è stupito, mi guarda con quegli occhi che brillano di domande. È bellissimo quando tuo figlio impara una cosa nuova: «Una volta, non si poteva salire sulla Barca, si poteva solo parlarle da fuori. Ecco, vedi». Mentre parlo, muovo le dita e comincio a scrivere. «Ma cosa fai, papà? Perché stai zitto?». «Vedi, tempo fa, le Barche erano sorde. L'unico modo per parlarci era questo, scrivere lettera per lettera».

Mi guarda con curiosità, quasi come la prima volta che gli ho mostrato il Cielo, e aspetta che finisca la frase. Poi premo un tasto e la Barca risponde, riempiendo anch'essa il rettangolo di lettere. «Ma papà, la Barca è anche muta?». Comincio a sentirmi un po' a disagio, ci sono troppe cose da spiegare: «Vedi, ci ha dato le risposte, tante risposte tra cui noi possiamo scegliere». «Tante risposte? E come facciamo a scegliere, senza il suo aiuto?». «Beh, leggiamo le lettere e cerchiamo di farci una nostra idea. Poi, vedi, ne scegliamo una, e la Barca ci porta dove abbiamo deciso». «Ma papà, è pazzesco, vuoi dire che la loro Barca era muta e sorda, non potevano parlarci? E che dovevano navigare al buio, senza vedere prima dove andare?».

Mi sono sentito in difficoltà, era decisamente più complicato del previsto da spiegare. «Ma come faceva la gente di un tempo a navigare così, che razza di Barca era una barca che non parla, non ascolta e non si muove!». «So che può sembrarti strano, ma non devi pensare che la gente di quel tempo fosse stupida, semplicemente il progresso non è così veloce». «Ma papà, era ovvio che con una Barca così non si poteva navigare, no?». «Le cose non sono sempre così ovvie... Hai presente Giovanni, il gelataio?». «Certo». «Il gelataio nell'altro quartiere costa meno, ma tu vai da Giovanni, ti sei mai chiesto perché?». «Perché è più comodo!». «Ecco, anche la gente di quel tempo è rimasta molto a lungo con Barche così strane: per loro erano le migliori e se qualcuno provava a fare una Barca un po' diversa, per loro era scomoda: ormai si erano abituati». «Capisco, papà». «Il Mare, poi, era diventato talmente grande e profondo che non era facile fare nuove Barche. E quindi sono rimasti per decenni con Barche così».

Mi ha osservato colpito, alla sua età gli anni sono lunghissimi e un decennio è come un'eternità. «Finché qualcuno ha capito che quella non era una vera Barca e invece di progettarla usando quei vecchi schemi, semplicemente cercando di modificarli, ha ricominciato da capo. Ha creato la prima vera Barca». L'ho preso per mano e ci siamo avviati verso l'uscita. Per oggi le novità erano abbastanza.

Raffaella era fuori del museo ad aspettarci. Sapevo che mio figlio voleva raccontarle di quelle strane cose viste al museo. Mentre la raggiungevamo, mi ha chiesto ancora: «Ma come facevano a chiamare Barche quelle cose, papà?». «Hai ragione, infatti non le chiamavano così, le chiamavano Motori». «Motori?». «Sì, come il motore di una Barca. Motori di ricerca». Mi ha guardato ridendo: «E come si fa a navigare con un Motore e senza la Barca, papà?». Gli ho sorriso anch'io, alle volte la semplicità dei bambini è di una lucidità straordinaria. Per lui navigare nel Mare dell'Informazione (quella che gli antichi chiamavano la Rete) era un concetto naturale e un Motore di ricerca che fosse solo passivo, che non dialogasse con le persone, era un oggetto primitivo. Il motore della Barca, appunto.

Raffaella, vedendo che eravamo di buon umore, ci ha sorriso come solo lei sa fare. Ha lampeggiato contenta e siamo saliti a bordo, mentre con eleganza alzava le vele. «Allora, dove navighiamo adesso?».

Wired magazine (Agosto 2009)

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